domenica, ottobre 22, 2006

La volpe e l'uva - DromeDario Remix

A pensarci bene,

non ti voglio per il momento.

Perché se ti avessi ogni giorno accanto

non sentirei più bisogno di niente altro.

“Una volpe affamata vide dei grappoli d’uva che pendevano da un pergolato, e tentò di afferrarli. Ma non ci riuscì. "Robaccia acerba!" disse allora tra sé e sé; e se ne andò. Così, anche fra gli uomini, c’è chi, non riuscendo per incapacità a raggiungere il suo intento, ne dà la colpa alle circostanze. “

Esopo, XXXII; Fedro, IV, 3.

venerdì, ottobre 20, 2006

Istanti #4 (Entusiasmo)

IL POETA INNAMORATO

Mi sveglio presto ogni mattina,
con le prime pennellate di un timido arancio
del sole sui campi argentati di brina.
Con impavido sforzo a un tuo bacio rinuncio,
e fuggo silente dal tiepido talamo,
tradendo del mio folle ardore ogni intrepido slancio.
Come un ladro d’amore il tuo sorriso bramo,
sedato dal sonno delle tue graziose membra
ed esco all’aperto in punta di piedi a urlar che t’amo.
Sotto un platano che un dio greco sembra
siedo gaudente e inebriato dai mirti
d’una dolce essenza che la pelle tua rimembra.
Con carta e inchiostro per vestirti
confeziono abiti di belle parole
che ti avvolgano soffici in ciò che voglio dirti.
Dell’amor mio non conosci la mole,
ma forte e testardo in ogni dove può seguirti,
con una luce tale da impensierir le stelle, la luna e il sole.

Ottobre 2006

Istanti #3 (Stanchezza)

Sono stanco
ho camminato tanto ieri
e il giorno prima anche di più
Sono stanco
e il deserto lo è più di me
e la sabbia è stanca di avere altra sabbia tutto intorno.
Sono stanco
e non so se mi rialzo
è troppo comodo questo giaciglio, troppo fresco questo silenzio.
Sono stanco
sono troppo stanco
ma è il mondo che mi vuole stanco.
Sono stanco
di sentirti stanco
perchè è troppo facile abbandonarsi.
Sono stato franco
per tutta la vita
ed ecco il risultato: sono stanco.
Sogno un sole bianco
che mi porti via
sogno te al mio fianco.
Ancorato ad un sogno
non posso vivere
neanche il deserto mi darà pace.
Mi piace ridere
ma non chiedermi di farlo
fammi ridere e ti regalerò questo stupido universo.
Verso la fine
il deserto ti confonde
pioggia viola, draghi fucsia, scimmie albine.
Verso la fine
sei di nuovo all'inizio
sei stanco, deluso, testardo.
Sei stanco
hai camminato tanto ieri
e il giorno prima anche di più
Sei stanco
e il deserto lo è più di te
e la sabbia è stanca di avere altra sabbia tutto intorno.
Sei stanco
e non sai se ti rialzi
è troppo comodo quel giaciglio, troppo fresco quel silenzio.
Sei stanco
sei troppo stanco
ma è il mondo che ti vuole stanco.

Settembre 2006

Istanti #2 (Delusione)

All’improvviso non mi piace più niente.
Non mi piacciono più questi posti, quest’aria, questa gente.
Non mi piacciono più neanche i vestiti che indosso,
li cambierò tutti, ne comprerò di nuovi.
Non riesco a trovare una sola costruzione che mi piaccia,
uno scorcio, la spiaggia, i locali notturni.
Tutto sembra paralizzato, fumoso, come nei sogni.
Anche il caffé e il latte a colazione
non hanno più lo stesso sapore.
Non riesco nemmeno a gustarmi una birra in queste serate prive di stimoli.
Il piacere è un ricordo lontano.
Devo ricominciare tutto daccapo.


Sulla strada per Monopoli, 14 agosto 2006, ore 19.30

domenica, ottobre 15, 2006

Istanti #1 (Debolezza)

Vorrei scriverti qualcosa, ma in fondo non ho intenzione di scriverti niente.
Tutto/Niente.
Mi sembrano la stessa cosa.
Posso avere l'impressione di possedere tutto.. e di non avere il controllo su niente.
Posso dare tutto..e niente, e può essere che lo stia facendo nello stesso istante.
C'è un filo sottile che li unisce. Diventa un velo che permette al niente di celare il tutto.. e al tutto di essere inconsistente.
Perciò ti lascio il niente, ma tu osservalo.
Risolvilo.

Io, in questo istante (Luglio 2006)

venerdì, ottobre 13, 2006

Teletrasporto...


Vorrei evaporare
e sublimare da te.

sabato, ottobre 07, 2006

ZIO CANTANTE



Zebre autoctone sferzano
Ibride consonanti in preda al panico.
Onde supersoniche attraversano il perché del dove e quando,

Cantando l’ira del tenebroso monaco trappista
Avvinazzato, ebbro, lieto portatore d’avvinghiate inconsistenze accarezzate.
Nasce l’estasi, e si riposa un attimo.
Tasselli giganti di una miniatura allucinata, lisergica,
Annettono sfumate scottature di tempi senza tempo.
Narcisi fenicotteri danzano a suon di marmellata,
Tessendo fasci di speranza incontaminata
Esuli dall’intrico devozionale che il vostro infetto parto ha generato.


(In ascolto: Il Poeta Si Diverte - Ridillo)

martedì, ottobre 03, 2006

Incubi (Echoes)


Il gradino.

È un film
Pellicola malmessa
Incomprensibilmente femmina
Un luogo mai visto
Lontano nel subconscio
A pochi millimetri dalle mie iridi
Color del caffé
Entro in una sala
Attraverso un varco e una tenda di lino
Bianco
Il profumo d’erba tagliata di fresco
Si va affievolendo
Mentre scendo guardingo
Una scala elicoidale
La pellicola deve essere davvero rovinata
C’è una musica che mi giunge all’orecchio
Confusa
Potrebbe essere bebop hardbop
O anche nu-jazz prodotto ad arte
Di sotto ballano in costume
Il piano che voglio raggiungere
Non la smette di allontanarsi
Alla stessa velocità con cui scendo
Mi fermo su un gradino
Che all’istante s’isola nel vuoto della sala
Troppo
Troppo in alto per scendere
Vertigine, mi manca il terreno sotto i piedi
Capisco che è un sogno
Tento invano di svegliarmi
Vedo il letto nella mia camera
E vedo me dall’esterno
Vedo che mi sto agitando
Ma non riesco a svegliarmi
In fine mi sveglio
Sudore gelido
Respiro a fatica
Sono vivo



Headache.

Quella siringa e il mio cranio
Una freccia nel mio cranio
Scappavo e mi ha colpito
Ma chi? Dove? Che volete?
L’ago lungo e quelle capanne di paglia
Le percussioni i balli le urla
Ma chi? Dove? Che volete?
E il mio basso, no non è il mio basso
Un basso e il mio pedale, si è il mio pedale
Il synth-bass e le note fanno uah-uah
Un pianto? Un basso. Un bambino.
Un violino. Batti forte dai, non ti fermare
Ma io voglio scappare.
Oddio che dolore!
Toglimi questa lancia dal cranio
Non vedo più
Sento delle voci che non si placano,
ma che lingua parlano?
Mi esplode l’emisfero destro del cervello
E ne esce musica
E le mie scarpe nere diventano rosse
E il mio sangue diventa nero
I loro volti sono neri e ridono
Ballano suonano
Invecchiano muoiono
Poi non lo so
Ho ancora quell’ago nella testa
E quella pompa ossessiva nel petto
Lasciami dormire te ne prego
Non penserò, te lo giuro.

da incubi, settembre 2006

(In ascolto : Echoes - Pink Floyd)

domenica, ottobre 01, 2006

Music of the Mind


Piove ancora.
Pioveva ieri e anche l’altro ieri.
Domani pioverà ancora.
Mi siedo un attimo
E ascolto la pioggia che cade senza sosta.
Se mi fermo un po’ ed osservo il cielo grigio,
posso percepire le sfumature di suono
che accompagnano le diverse frequenze con cui la pioggia cade.
Per lo più è un suono costante,
quasi una lunga suite su un accordo solo.
Ogni tanto passa un autobus
con la sua rumorosa scia di acqua
sollevata sui marciapiedi,
e il mare che in strada si agita,
spumeggia
e forma gorghi vorticosi
che trascinano al centro le prime caduche foglie d’autunno.
Come quegli improvvisi rivolti dissonanti
che i pianisti amano suonare a momenti
per creare tensione.
Continuo ad ascoltare.
Un tuono.
Anzi, una serie di tuoni.
Eccolo, il solo di percussioni.
Qualche goccia di pioggia si infrange sulla soglia della finestra,
rimbalzandomi addosso sotto forma di mille goccioline.
L’acqua cade abbondante adesso.
Si sente lo scrosciare di tanti piccoli torrenti
che si formano ai piedi delle abitazioni,
dove si raccoglie l’acqua dei tetti
e quella che adesso comincia a grondare dalle facciate dei palazzi.
Come tanti strumenti a fiato
che elegantemente improvvisano sullo stesso tema.
Senza ostacolarsi.
Un flusso armonico
e pacifico.
Dal punto in cui siedo, vedo i fili d’acciaio tesi fuori dalla finestra,
di quelli che servono a stendere i panni da asciugare.
L’acqua vi si raccoglie molto lentamente,
fino a formare dei goccioloni che si spostano a destra e a sinistra
a causa del vento.
Poi si ingrossano,
pendono
e cadono.
Quanto è piacevole questa nenia.
Ascolto il tempo che scorre.
Ascolto questo silenzio che non è muto.
Ascolto questo suono che non è rumore,
ma è musica.
È la musica dell’universo
Ed assume sempre un regime diverso.
È la musica che ascolta un matto
E ne sono assuefatto.
Ora che ne sono dipendente,
mi ci immergo come in un mare.
Posso spingermi fino alla sua profondità ed ascoltare i battiti del mio cuore.
Mi siedo su una conchiglia ed ascolto. E sento…
Batte piano il mio cuore. Mi concentro e lo sento.
Batte sempre in 4/4.
È una pompa che si contrae ed espande.
Il suo battito doppio mi da la certezza che il tempo è bossa nova.
Sono io il direttore di questa magica orchestra
Che mi sta allietando il pomeriggio.
Il basso fa da contrappunto
Ed è il flusso dei miei pensieri.
La mia poetica del groove
mi fa stare incollato al doppio battito della cassa
e cuore e cervello sono un unico strumento,
proprio come ogni coppia batteria/basso delle migliori sezioni ritmiche.
Adesso questa musica finirà
e io aspetterò
la dolce ballad della notte.
Non può piovere per sempre.


Bari, 26 settembre 2006