domenica, gennaio 28, 2007

Pulp a puntate


Chimicassassina.

1. Facciamo la guerra?

Come faccio a dirglielo? Come faccio?

Lei è già accesa. Molto. Troppo perché possa dirle una cosa del genere adesso. Mi tiene a se come un barbone che ha appena trovato una bottiglia piena di grappa, in un cassonetto, e non vuole che qualche suo collega gliela porti via. Mi stringe il fianco destro con la sua mano sinistra, affondandomi le unghie –smaltate di rosso e curatissime- nella carne viva.

Come faccio a dirle che è un problema di chimica?

La sua mano destra intanto indaga furtiva all’interno della mia camicia, esplorandomi come una nave dotata di sonar che deve mappare un fondale marino. Mi lascia dei graffi sul petto, ogni tanto, così, tanto per gradire.

Si alza sulle punte dei piedi per baciarmi sul collo, mi ghermisce con le sue gambe lunghe e affusolate, mi morde un orecchio. Sento un fuoco dentro ad ogni movimento e una tempesta violenta nel basso ventre. Come un tizzone ardente lei mi ustiona ad ogni contatto, le sue guance sono arrossate - le vedo sotto quegli occhi cattivi e viziati - così come il suo ventre ‘mediterraneo’, così morbido adesso che si è lasciata andare, che si fa più caldo, e la rosa tatuata vicino l’ombelico si fa di un rosso più acceso. Non vuole certo darmi il bacio della buona notte.

Criminologa, si capisce da come indaga, rastrellando ogni centimetro del mio corpo. La sua lingua si occupa della mia bocca, senza pietà alcuna la mette sotto-sopra alla ricerca di prove, indizi della mia perdizione.

Come – faccio – adesso – a – dirle – che – non – posso?

E che è un fatto di chimica?...

Vedo tutto questo dall’alto, sopra i nostri corpi aggrovigliati. La parte animale di me va avanti senza remore, senza subire troppo il contrattacco della giovane psicologa. La parte razionale si allontana dal mio corpo per analizzare la situazione, che può capitolare da un momento all’altro. Mi vede sudare freddo. Non troppo convinto delle mie azioni e quanto mai maldestro. Piccole goccioline condensano sulla superficie del mio naso, poi si raccolgono sulla punta cadendo con un ‘plick’ proprio nel decolletè di lei. Difficile adesso convincere quell’essere pensante che lì sotto chiede udienza, ma è ora di chiudere. Ci sono casi della vita in cui bisogna prendere delle decisioni forti in brevissimi istanti. Come in quelle situazioni critiche in cui si sta rischiando di morire. ‘Forza della disperazione’ la chiamano. Quella a cui sto pensando, a cui l’essere pensante superiore sta pensando, è molto più che un’ipotesi o una probabilità. E’ ciò che sta irrimediabilmente per accadere a meno di prendere rapidamente la situazione in pugno.

“Devi farti venire un’idea, per salvare il salvabile. Sempre meglio non fare la figura del cazzone. Spara la prima cazzata plausibile che ti passa per la testa e poi sgomma verso casa. Sbrigati, cazzo!”

Era la mia coscienza, quell’entità che si prendeva cura di me, a parlarmi adesso. Certi ormoni mi avrebbero tenuto il muso per settimane, ovvio, ma ‘rischio’ in quella situazione era un termine non appropriato, perché era completamente impossibile che l’evento potesse evolvere in modo positivo restando in quel posto. Avrei, anzi, dovuto capirlo subito, qualche minuto prima, quando ci eravamo fermati sotto casa sua per salutarci, e mi ero sentito improvvisamente strano, come se un fulmine mi avesse folgorato dal di dentro. Non avevo resistito però al fascino bastardo di questa pin-up capace di produrre pensieri di senso decisamente compiuto. Perspicace, logorroica, e con un sedere poliglotta. Nonostante il mio pacifismo convinto, non avevo potuto non impugnare le armi al suo lancio di sfida: “Facciamo la guerra.” E adesso, mio malgrado, ero costretto ad una ritirata paradossalmente strategica.

Mi staccai con decisione dalla ventosa delle sue labbra e con una certa apprensione mi sentii dire: “Opporcodiungiorgedabliubusc! Jaco! Il mio cane! L’ho lasciato solo a casa e senza niente da mangiare. Impazzirà se non vado subito da lui e lo porto fuori. E’ chiuso in casa da parecchie ore, poveraccio. Che bastardo che sono. Scusami tesoro, magari faccio in fretta e torno da te in un baleno. Sempre se non ti dispiace…”

“Certo che mi dispiace!” mi ringhiò lei allibita e ritirando la mano che aveva appena insinuato nei miei pantaloni. Mi guardò per qualche secondo esterrefatta, con la bocca aperta in espressione decisamente contrariata. Poi le spuntò sulle labbra un sorriso dolce, ironico, malefico e rassegnato, che la diceva tutta sul fatto che ormai mi si era calamitata addosso e non avrebbe potuto fare a meno di me quella sera.

“Se non torni entro mezz’ora, ti uccido.” mi disse, incrociando le braccia e portando le spalle leggermente indietro, ma sempre con quel ghigno sensuale e criminale. “Certo” le risposi, mentre un altro lampo mi accecava la vista, “in guerra tutto è lecito, dopotutto” e le feci l’occhiolino (o forse chiusi tutti e due gli occhi, vorrei tanto poter usare il termine inglese to blink).

Appena lei si ricompose, dandosi una ravviata ai capelli e raccogliendo le scarpe che si era tolta, e si avviò verso il portone di casa, io non esitai a correre come un ossesso verso la mia auto, parcheggiata in seconda fila. A quell’ora – e in quel quartiere, pensai – nessuna multa, per fortuna. Era pieno di bambini quel quartiere, e di gente ancora in strada per godere ancora di un po’ di frescura prima di arrendersi ad un’altra torrida ed insonne notte di metà luglio. Ci feci caso mentre giravo la chiave nel quadro e mettevo in moto. In condizioni normali, non mi sarei dato più di 35 secondi di vita. Come nei cartoni animati di Ken Il Guerriero, che confidava ai propri nemici i secondi rimanenti di vita prima che i loro corpi esplodessero in un frullato di viscere sotto i colpi dei suoi ‘100 pugni di Hokuto’. Non pensavo mai a cartoni animati della mia infanzia.


In ascolto : Nightclubbing - Iggy Pop



2. Gesto istrionico.

“Spero solo di non imbattermi in una sparatoria” pensai, per assurdo, con un sorriso candido e idiota rivolto allo specchietto retrovisore. In quella zona di Bari, rapine e regolamenti di conti non erano più solo un luogo comune o un triste ricordo del passato. La violenza era riesplosa da poco tempo e con inaudita ferocia. Ne avevano già fatto le spese diversi affiliati ai clan malavitosi che si contendevano i vari traffici illeciti nei diversi rioni della città, nonché alcuni – ma ormai troppi- innocenti cittadini che avevano avuto soltanto la colpa (sfiga?) di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. In quell’istante pensai che ‘trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato’ era stata da sempre una mia prerogativa.

Pensare a cascata.

Anche questa è sempre stata una mia prerogativa. A volte ho l’impressione di pescare alla cieca nel mazzo di pensieri che affolla la mia testa attimo dopo attimo. Ogni piccolo particolare esterno mi provoca grappoli di sensazioni e pensieri, che di solito hanno la caratteristica di creare una rete di associazioni tra percezioni istantanee e ricordi o fatti accaduti. “Ma pensa a guidare, idiota!” mi disse bruscamente una voce senza suono. Dovevo uscire velocemente da quel quartiere e avrei investito volentieri con l’auto quei ‘Gremlins’ travestiti da bambini che giocavano con un pallone da calcio ‘alla tedesca’, scaricando poi violente pallonate contro la saracinesca di una garage.

Strafottenti, spocchiosi. La maggior parte di loro aveva come modello qualche parente spacciatore o ‘topino’ (borseggiatore-scippatore-ladro d’appartamento). Inconsapevoli e inermi figli del circolo vizioso della povertà/ignoranza/disoccupazione/errate politiche urbanistiche e di assegnazione degli alloggi. Avevo collaborato ad uno studio multi-disciplinare su un quartiere-ghetto della periferia, quando la nuova amministrazione di sinistra si era interessata alla sua riqualificazione urbanistica (e soprattutto sociale), perciò conoscevo molto bene tutte quelle dinamiche. Però a volte era meglio avere una sana paura di quelle bestiole, che, cresciute come cani sciolti, non possedevano alcuna considerazione degli esiti della violenza e circa il rispetto del prossimo. Sapevo, in un certo senso, di dover loro rispetto, perché ero nel loro territorio e ci tenevo a che la mia vettura ne uscisse indenne (aggiungo pure che non morivo dalla voglia di ingaggiare una rissa con dei ragazzini di dieci anni… a prescindere dallo stato in cui versavo). Perciò accennai soltanto un leggero senso di disapprovazione piegando all’insù l’angolo destro della bocca quando uno di loro mi tirò – di proposito (che angelo…) – una pallonata contro la fiancata. Cominciai a contare fino a dieci, lentamente e ascoltandomi inspirare ed espirare. Ripartì sgommando. Nella mia mente Ken Shiro iniziava a infliggere una serie di cazzotti roteanti sul corpo di quelle pesti odiose, che una ad una si prendevano la testa tra le mani; questa cominciava a gonfiarsi e a deformarsi fino ad esplodere spargendo in ogni dove brandelli del proprio cruento contenuto. Sarebbe bello avere Ken come guardia del corpo, vaneggiavo, mentre mi districavo tra i sensi obbligati del rione Madonnella. Avevo poca strada da fare per raggiungere casa mia, ma solo ragionando in linea d’aria. Intanto continuavano i miei sudori freddi e i brividi lungo la schiena, prefigurando scenari apocalittici. Un tamarro in una Mini Cooper S giallo fastidio procedeva a passo d’uomo e serpeggiando tra le due corsie. Troppo strafatto di non so quale mix lisergico e dal remix di Gigi D’agostino che ostentava nell’autoradio, a volume da arresto immediato. Tentai di sorpassarlo da sinistra, poi da destra, ma niente. Mi guardai fradicio nel retrovisore e verde come Hulk. 1.. 2.. 3.. 4.. Sto esplodendo. Faccio una cazzata. L’intercalare del barese al semaforo: iniziai a strombazzare col clacson. Il tipo non sembrò accorgersene minimamente. A quel punto riuscì ad affiancarlo e chiesi spazio per farmi passare. Mi guardò fisso e lento con i suoi occhi porcini, quasi con un’onta di divina superiorità, finse di stringermi poi mi lasciò passare, quasi a dire “Te lo concedo, plebeo”.

Mi lasciai prendere dall’orgoglio e gli rifilai un bel dito medio allo specchietto.

Non si fa.

Il coatto si inferocì, partendo all’inseguimento. Doveva farmela pagare, quello era un affronto che non si lascia passare così. E io non potevo permettermi un tale errore di leggerezza in quel momento. Sembrava che in un modo o nell’altro quella sera la morte dovesse venire a reclamare la mia anima. Il tipo mi stava alle calcagna e con la testa fuori dal finestrino mi urlava poco velate minacce di morte. Molte parole in dialetto nemmeno le capivo, tanto parlava veloce. In un altro momento mi sarei anche divertito nel mettermi alla prova alla guida di un auto, inseguito da un pazzo per le strade della città, ma avevo altri pensieri per la testa. Ero quasi arrivato a casa, cazzo, adesso le passavo davanti sfrecciando e ignorando il semaforo rosso stranamente ancora acceso a quell’ora. Imboccavo via Amendola dall’incrocio con via Capruzzi.

Si. Contromano. Per fortuna passavano solo due ragazze in scooter e mi bestemmiavano soltanto i morti. Volevo seminarlo, ma la mia Alfa Sud non poteva niente contro la sua fottuta Mini S. Dovevo usare la testa. Siamo sulla provinciale adesso e mi chiedo perché sono così coglione da averlo portato fuori città. In realtà sapevo bene che, ormai in fuga, avrei potuto unire l’utile al dilettevole… La bestia mi affiancò urlando: “Sei un pezzo di merda, fermati che ti spacco il culo!”.

Quanto avrei voluto fermarmi, quanto avrei voluto fermarmi prima, scendere e fargli chiudere quella cloaca di bocca. Non potevo, cazzo, non potevo. Misi la freccia per uscire all’altezza di Sammichele, poi uscì improvvisamente dalla corsia di decelerazione, ma il bastardo non abboccò al tranello. Mi risorpassò e sbandò un po’, come per mandarmi fuori strada. Avrà avuto anche il vantaggio del motore, ma non sapeva con chi aveva a che fare…

In ascolto : Travelling Without Moving - Jamiroquai



3. ‘The Peacemaker’.

‘The Peacemaker’. E’ così che mi chiamavano da ragazzo, e questo epiteto non aveva certo il valore positivo che potete immaginare. Niente a che vedere con ‘il pacificatore’… ma per capirlo bisogna aver visto il film ‘The Peacemaker’ con George Clooney e Nicole Kidman. In una scena ad alto contenuto di effetti speciali, il brizzolato più famoso del cinema compiva delle evoluzioni spettacolari con una Mercedes SL durante un folle inseguimento con alcune pericolosissime spie, riducendo ad un cartoccio di lamiere la propria fuoriserie, ma salvandosi le chiappe. Fu subito dopo l’uscita di quel film e la visione di quelle sequenze che i miei amici più stretti presero a chiamarmi in quel modo. Per la precisione, fu subito dopo che mi ero adoperato in una serie di manovre da ritiro immediato della patente, una sera che avevo esagerato con l’alcool. Quella volta ero persino salito sul marciapiede con la mia Fiat Panda per far cagare sotto dalla paura uno stupido che era stato preferito a me dalla cretina più bella del paese. Quando questo aveva interrotto la sua estenuante fuga a piedi per bloccarsi atterrito con le spalle al muro, io ero ripartito sgommando e lasciando dietro di me fumo, brandelli di copertone e risate scimmiesche dei suoi compagni di bagordo. I miei soci in macchina erano rimasti muti e impietriti per dieci secondi, poi avevano cominciato a ridere senza più fermarsi, a urlare e a fare casino come cani isterici. Da quella sera, e per diversi anni, io fui ‘The Peacemaker’.

Tutti noi del gruppo abbiamo avuto da sempre la passione per la guida. Questa ci ha portato, nei primi anni da neopatentati, a fare molte cazzate al volante delle auto dei nostri genitori, mettendo in serio pericolo le nostre giovani vite assetate di emozioni.

Stavo pensando a quella volta che arrivai a pochi centimetri dal precipitare in una scarpata, quando mi resi conto che dovevo inventarmi qualcosa alla svelta per tirarmi fuori da quella situazione assurda. Lanciai uno sguardo di intesa alla leva del freno a mano, con gli occhi socchiusi in due fessure che scintillavano per l’eccitazione. Sentivo l’adrenalina scorrermi nelle vene come un fiume in piena e un calore immondo mi appesantiva le palpebre, che di tanto in tanto erano scosse da sussulti nervosi. Lo avevo fatto tante volte per gioco con gli amici nel parcheggio dello stadio comunale (e una volta avevo anche dovuto ripagare a mio padre le gemme dei fari posteriori che avevo distrutto), ma adesso che questa manovra poteva salvarmi la vita oppure stroncarla in modo cruento non mi faceva più tanto ridere. Dovevo concentrarmi e cercare di ridurre un po’ la velocità perché altrimenti mi sarei ribaltato di sicuro. Provai a capire la sua traiettoria guardando i fari rotondi nel retrovisore. Iniziai a ridurre la pressione sul pedale del gas e a spostarmi sulla corsia di sorpasso; quasi a indurlo a dovermi sorpassare dal lato destro. Mi facevano male gli avambracci per quanto salda era la presa del volante e il sudore rendeva solidale la mia schiena al sedile. Il pollo abboccò e stava per avvicinarsi, quando mi spostai di nuovo leggermente a destra e tirai su la leva, con la stessa cura con cui si manovra il detonatore di una bomba. Fu semplicemente fantastico. Tutta la scena mi scorreva davanti come se fossi lo spettatore di un film d’azione. Mi sentivo come Boe e Duke, oppure come Michael Knight di Supercar… perché no, anche un po’ McGyver! La mia Alfa verde bottiglia si girò perfettamente di 180 gradi, come nella migliore esibizione di uno stuntman professionista….

[continua]

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6 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Con affetto e simpatia, lascio qui la firma mia!
E’ il solo commento che mi viene in mente al momento! :-| Il rischio è che suoni vagamente blasfemo in questo sobrio “santuario di te stesso”…ma sono certa che saprai perdonarmi anche questa stupidaggine. Lo sai che ho seri problemi ad essere seria.
In realtà stavo scrivendo qualcosa…ma pensavo ad altro. Pensavo piuttosto alla “fortuna”. Alla tombola perdo sempre, i morti mi fregano le vite e paolo Fox mi ietta tutte le settimane. Però ho la fortuna di poter sprecare queste righe scrivendo cavolate. Perché quello che mi andrà di commentare potrò dirlo a voce…e suonerà tutto molto meno figo. E sono certa che non mi verranno in mente belle parole, o comunque sembreranno sciatte sotto il peso della cadenza sguaiata. Ma resta una gran fortuna. Questo pensavo. E a molte altre cose…ma questo post sta diventando troppo lungo, quindi, te le dico la prossima volta, se vorrai.
lella

gennaio 28, 2007 5:41 PM  
Anonymous Anonimo said...

Piacevole, molto piacevole. Anche curato: mi sembra ci sia piu' lavoro del solito, o sbaglio? Aspetto il seguito.

gennaio 31, 2007 8:32 AM  
Anonymous Anonimo said...

ah ecco.....un racconto....per un po' ho creduto che fosse una storia vera...qualcosa che avevi vissuto.....ma si può sapere perchè la ventosa è stata ammollata quattro a zero???

Darksylvia

febbraio 06, 2007 2:36 PM  
Anonymous Anonimo said...

Ti seguo...

febbraio 09, 2007 8:57 AM  
Blogger Da said...

@ lella: :) grazie................
@ silvia: c'è sempre una linea sottile tra la realtà e la finzione.. comunque, la risposta è.. 'lo scopriremo solo leggeeendooooo' ;)
@ max: grazie, come sempre (per l'assegno aspetta il 10 del mese..cioè domani -.-). Riguardo alla cura ti ho già detto...

Continuerò a pubblicare le puntate man mano che avrò tempo (e ovviamente ispirazione)

febbraio 09, 2007 3:53 PM  
Blogger Da said...

Dai, ditemelo chi ha fatto lo scherzo della ragazza di 17 anni.. non vi faccio niente, giuro.

febbraio 09, 2007 3:54 PM  

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